ATTRAVERSO Roberta Valtorta
L'idea centrale della vasta ricerca che Gioli sviluppa sulla base di una radicalizzazione e insieme di una dilatazione della tradizionale tecnica del fotofinish è che non si dia immagine se non in seguito a un processo di attraversamento, di profondo e continuo mutamento. Solo passando da uno stato ad un altro, attraverso qualcosa, l'immagine riesce di volta in volta a determinarsi nella forma e a conquistare un significato. Come nel concepimento di un essere, il volto mentre si muove viene ripreso dalla macchina anch'essa in movimento e registrato su una pellicola a sua volta in continuo scorrimento: la luce spinge drammaticamente l'immagine di questo volto dentro il ventre della macchina, costringendola a passare non attraverso un semplice diaframma, come avviene nella fotografia tradizionale, non attraverso una semplice linea-fessura, come avviene nel tradizionale fotofinish, ma attraverso un'altra figura (sia essa un puro segno, una scrittura, un tracciato, un disegno, uno schema, o, anche, un'altra fotografia tratta da realtà naturali oppure costruite dall'uomo). Il volto deriverà così la sua nuova fisionomia, o meglio tutte le sue innumerevole temporanee e mutevoli fisionomie, dalla figura che, interagendo con esso, letteralmente lo plasma e gli dà consistenza visiva: come un marchio ne segna l'esistenza. La procedura che Gioli mette in scena possiede il significato nettissimo di un processo di carattere genetico, e l'impressionante caratteristica di una metafora della nascita. Al tempo stesso, e coerentemente, la compenetrazione fra il volto e il segno che fa da matrice fa pensare assoggettare la scrittura alla sua imprescindibile impronta. La ricerca di Gioli parrebbe incarnare una sorta di lotta nel corso della quale una possibile identità (quella della persona) entra in intima collusioneal peso di una lontana memoria che comunque prosegua il suo lavoro nel presente, o all’azione di un programma informatico capace di con altre identità (quelle rappresentate dai segni stessi): ma la nuova identità che si genera da questo dinamico, anzi, agitato attraversamento di un'immagine dentro l'altra finisce per risultare irraggiungibile, disturbata, tormentata e instabile, stretta in un destino di continua mutazione. Un'identità provvisoria, presente solo per un attimo e pronta a ripartire, ingoiata dal movimento che inesorabilmente prosegue e la trascina via, e dal segno stesso, che è come una voragine, un gorgo risucchiante. Il gesto, espressione del movimento, è il perno di un complesso lavoro che Gioli sviluppa intorno ai concetti congiunti di memoria, di esperienza e di percezione: egli oppone al flusso temporale l'azione dei segni, che come rughe portatrici di significati imprimono forme al volto, creando continue tracce simili a un vissuto esistenziale che si rende plastico e visibile, quasi tangibile. Lo stesso volto racconta se stesso e rincorre se stesso emergendo dal nero fotografico in più versioni successive l'una genesi dell'altra, o suo commento, o ombra, o eco, o compagna di viaggio, e tutto questo sotto la guida del segno. Le immagini che restano impresse sul flusso della pellicola/esistenza presentano una profonda complessità proprio in quanto figure create da figure. Gioli lavora sul confine fra segno e figura, immagine e linguaggio, che paiono confondersi fra loro per appartenere in modo panico a un tutto che non sappiamo più se abbia a che fare con uno stato della materia che preceda l'esistenza umana, oppure riguardi il suo drammatico svolgersi, oppure si riferisca a un lontano, disperso dopo.
Roberta Valtorta