Vittorio Matino

di Giuseppe Curonici

La pittura recente di Vittorio Matino si presenta in un primo momento come una manifestazione di chiarezza e compostezza, che esprime pace e forza rasseneratrice. Dopo un istante, la percezione iniziale è già sconvolta. Confermati quei valori, ne emergono altri, un’energia misurata ma intensa e complessa, metafora o visualizzazione della vita interiore, una rappresentazione della condizione dell’uomo davanti a se stesso.

Tema e variazioni.

Appare dominante un tema pittorico, realizzato con luce e colore: una superficie limitata, ma dinamica, posta al centro di uno spazio illimitato. Da qui si sviluppano innumerevoli variazioni libere e imprevedibili. Il tema compositivo è dato in due tipologie, orizzontale o verticale. Il dipinto orizzontale offre di solito un lungo rettangolo, un trittico con una parte centrale dotata di una propria fisionomia, e due parti laterali tra loro simmetriche.

L’altra tipologia principale, più frequente, è il rettangolo verticale. Su un fondo spaziale di luce-colore, sorge un soggetto costituito di un altro rettangolo, dai colori accentuati, collocato più in avanti, come protagonista. Una scena di totale purezza pittorica, senza descrizione di figure corporee. Non è una scena teatrale. Però non è nemmeno uno spettacolo optical. Per quanto i fatti di qualità visiva siano di evidenza inequivocabile, è escluso che qui ci si possa fermare a una considerazione solo ottica o a fenomeni solo percettivi e sensoriali. Con dramma e urgenza sentiamo che tanto ordine, tanta limpidezza, sono il regno di una carica emozionale e di pensiero che sa evocare continuamente significati ulteriori.

Un mondo di significati complessi. Il cosmo, l’uomo.

La denotazione è rigorosa: una stele incorporea, realizzata in superfici astratte, una forma pittorica in quanto campo nello spazio, profilo, luce, colore. Ma le connotazioni (i significati ulteriori convogliati dal primo) sono grandi e abbondanti. L’immagine propone nel medesimo tempo sia un flusso di energia cosmica, sia una memoria astratta di figura umana. Non l’uomo, ma l’energia dell’uomo, o il rapporto tra l’uomo e lo spazio. L’apparizione di una Potenza, come in un’altra epoca storica poteva accadere sullo spazio im materiale di un’icona. Ma qui lo spazio-luce è lui stesso una rivelazione, un’evocazione visiva spaziale e cromatica, ed esprime una meditazione dove il contenuto non ci è stato dettato dalla voce di alcun profeta, e consiste nell’attività irrefrenabile di questo stesso spazio-luce-colore. Quando la dimensione verticale dell’icona incorporea è maggiore, si è sollecitati a pensare soprattutto a un evento cosmico. Quando l’estensione verticale è minore, l’immagine illimitata si limita come se diventasse umana. Possiamo dire, il monumento a un eroe astratto illustre e sovrapersonale, che ha lasciato l’immagine incancellabile del proprio affermarsi, certamente non l’immagine fisica ma l’immagine di un atto di affermazione e presenza. L’immagine dell’io, di una presenza diretta e ineliminabile, l’Io della primordiale enunciazione che dice: Io penso dunque esisto. Non un io autobiografico congegnato di cronache individuali, bensì l’autoaffermazione allo stato puro, in sè, e in forma visualizzata. Il segmento di spazio colorato campeggia forte, e suggerisce l’idea di una presenza e una coscienza nel pieno della sua dignità, della sua fermezza. Più contempliamo questa stele limpida senza volto, e più essa ci sollecita a meditare sul mistero dei suoi possibili contenuti inconsci, il suo essere sotterraneo che quanto più lo illumini tanto più splende oscuro, brillante, cromatico. Stele in memoria del presente, anzi del futuro, perché quel personaggio assolutamente astratto continua a vivere da un istante all’altro, persiste come continuità nel tempo, verso il tempo successivo. Il soggetto di una biografia sopraindividuale. Stele per un racconto dove l’io è un soggetto cosmico più che un soggetto di antropologia. Dall’antropologia stiamo passando alla cosmologia, e viceversa. Sembra che il suo significato sia quello di un Io in universale, dove ciascun io, l’io di chiunque gli si metta davanti, è attirato ad affermare: quello sono io; o a domandare: perché, come mai sto pensando che quello sono io? Certamente è qualcuno che ha a che fare con me. È lecito rivolgersi a quella non-stele astratta, e dire: Tu? È un interlocutore? Uno che mi affronta? A questo punto avviene un colloquio. La purezza rigorosa e pittorica del personaggio astratto è una chiamata, una sollecitazione, che mi invita a riconoscere un io e nel medesimo tempo a riconoscere la potenzialità di un tu. Se le cose vanno in questo modo, se in queste immagini è annidato il significato di un io, unito al significato di un tu, allora la pittura di Vittorio Matino deve essere riconosciuta come il dialogo fondamentale elementare e sgomentante che consiste nel sentire il proprio se stesso, l’io osservante, in un profondo interscambio con l’altro. Non ci sono grida e non ci sono proclamazioni esplicite, non ci sono comizi. Solo una presenza intuitiva. Sembrava una pittura chiusa, monolitica! Ed è invece un atto non solo soggettivo ma intersoggettivo.

Procedimenti pittorici. Il colore.

Consideriamo forma, stile, tecnica. Cominciamo da che cosa non è. Non è un colore di origine naturalistica ossia ricavato dal panorama empirico mondano. Non è nemmeno un colore di tipo minimalista secondo le indagini della scienza cromatica. Il colore di Vittorio Matino include anche queste cose, ma su un altro livello di discorso. È un colore espressivo, soggettivo e in fin dei conti esistenziale, ossia inventato dal pittore per atto di libera scelta individuale. L’artista non punta sul colore primario ma su mescolanze non programmabili: il colore è raffinato, audace ma delicato, e anche teneramente affettuoso; generato da un atto creativo che ama e rispetta la complessità, perché il modo di vivere dell’uomo è il rimescolio di ogni esperienza, anche le più complesse. Il colore di Matino nasce per sensibilità instintiva ed emozionale, al di fuori di qualsasi semplificazione, schema o programma.

La dialettica tra protagonista e fondo, di cui abbiamo parlato a proposito di spazio e forma, si ripresenta nel colore. Il protagonista astratto centrale, il dignitosissimo obelisco a un eroe pittorico o pitturale, è una tensione di colori che si sovrappongono con innumerevole gioco di velature e trasparenze. Il dosaggio delle luci va dalla solarità fino all’ombra, o a un velo di trattenuto lutto. La luce è una proprietà che deriva dalla scelta coloristica, si diffonde dappertutto, e ci offre un mondo di superfici cromatiche-luminose, come se non esistesse materia o massa, ma solo energia luminosa.

Aspetti materici.

Gli aspetti tecnici e materiali della pittura non devono mai essere sottovalutati. Sappiamo bene che abitudini di pensiero di tipo idealistico ci inducono nella tentazione di prendere la pittura come ideazione di forme e significati ecc. ecc. allo stato cosiddetto puro, quasi che la pittura fosse un atto immateriale per spettatori immateriali, senza corpo come gli angeli. Ma l’angelismo è una forma di menzogna. In verità, alla materia pittorica Matino dedica un’attenzione implacabile. È ben vero che nel suo lavoro la materia è lieve, quasi senza massa, o con una massa assottigliata al minimo. Ma questo non vuol dire trascurare la matericità, vuol dire invece curarla con estrema esattezza. La controprova è data dalla manualità, dal mestiere del pittore: lui, la sua mano, il suo pennello. Il colore acrilico si presta ad essere graduato o diluito come si vuole. Però ha i suoi rischi. Se usato pastoso, o trattato con un pennello a setole rigide, l’effetto cambia e può sfuggire al controllo. Matino adopera la spatola e poi pennelli dalle setole morbidissime, che consentono di stendere il colore liquido con movimento fluente, evitando che si formino tracce o righe incontrollate, e servono a eseguire in modo compatto e continuo superfici estese quasi impalpabili. Altri pennelli sono di misura sempre più ridotta, fino alla possibilità di condurre sottili profili. L’aspetto corporeo terrestre del mestiere di dipingere deve essere tenuto ben presente. Con questi controlli materici, Matino lavora a proporci la condizione umana, che è quella dell’uomo come spiritualità dell’Io corporeo. La nostra cultura è questa.

Il senso della linearità flessibile.

All’interno dell’opera pittorica di Matino troviamo lunghe linee quasi rette, leggermente curve, flessibili. Esse si formano dal gesto di stendere il colore, sono i confini delle zone colorate. I profili e i tracciati costituiscono il tessuto interno della stele astratta, il personaggio assiale che è sempre lievemente mosso, nella dinamica della sua costruzione e nelle sue velature. Tali movenze di origine gestuale non sono prodotti automatici della natura, bensì creazioni della cultura. La lenta, accurata gestualità del dipingere è passata attraverso un filtro culturale. Un sintomo rivelatore è fornito da un documento iconografico. Matino conserva nel suo studio la fotografia di una scultura asiatica, rappresentante una figura umana fortemente stilizzata. La fotografia mette in evidenza i profili: con una curvatura un po’più accentuata, contiene lineamenti a cui certamente si apparentano i dipinti di Matino. Come sempre, l’artista è autonomo e libero nello scegliersi i propi antenati! Nelle opere più recenti il sistema spaziale lineare offre nuove soluzioni. Verso la parte superiore, il personaggio astratto di colori, la stele pittorica, si apre producendo un bivio. È un forte e nuovo accento di complessità dinamica. Nessuno può descrivere verso quale meta condurranno le due direzioni.

Storia di una pittura meditata. Una conquista qualitativa.

Dopo gli anni di studio, la prima pittura di Matino è carica di riferimenti sociali ed esistenziali, come ai modelli di Bacon e Giacometti. Attraverso la riflessione su Matisse e Klee comprende che la pittura può essere nel medesimo tempo figurativa e astratta, quando in essa prevale la pittoricità come tale. Conosce l’opera di p. Mondrian, M. Rothko, B. Newmann, M. Louis. L’estensione dei riferimenti storici della pittura di Matino è messa in evidenza, negli anni Novanta, da alcuni critici (Valentine Marcadé, Giuliano Menato) che la ricollegano anche a premesse lontane nel tempo, l’arte bizantina, l’icona, la sacra rappresentazione, che Matino ripensa su piano nuovo e laico.

A noi sembra che Vittorio Matino abbia compiuto un passo decisivo in questi primi anni del secolo. Dopo la geometria in orizzontale e verticale, che comprendeva sia l’insieme della composizione sia la conduzione del tratto; dopo l’uso di geometrie complesse a tracciati obliqui – l’artista se ne libera. Il supporto geometrico non è più necessario. I segmenti rettilinei verticali e orizzontali e gli schemi ortogonali sono abbandonati. Le forme si muovono in modo delicato ma totale; la razionalità si interiorizza, l’insieme dell’immagine acquista nuova e maggiore forza. Nella sua dignità pittorica, sempre più intessuta del pensiero della presenza del cosmo e dell’uomo, reale anche se indiretta e celata, il dipinto sale a un nuovo livello qualitativo, quello dell’invenzione libera, l’autonomia e il movimento interno della vita. È proprio là dentro che si svolge il colloquio con l’uomo.

Giuseppe Curonici