Domenico D’Oora
HANS HARTUNG LA FORZA DEL LEONE
Sconcertano lo sguardo gli esigui esiti di certa arte contemporanea che, per essere soppesati, necessitano sempre di spericolate giustificazioni teoriche. Invece, al cospetto delle straordinarie carte e opere pittoriche di Hans Hartung, partecipi della loro ricercata bellezza, non v’è necessita di dimostrazione, di spiegazione, si diviene complici della loro effusiva capacità di meravigliare, di far nascere pensieri ed associazioni, di coinvolgere la visione, la mente e il cuore, in immediate, illimitate meditazioni. La loro grandissima volontà e felicità di ricerca estetica, la freschezza e vigore esecutivi, il sottaciuto e pur evidente rigore etico, con franca naturalezza sovrastano il superfluo, inutile agitarsi di tanta mediocre pittura contemporanea che, senza motivazioni, in esangui ripetizioni e trasformazioni, non sa ricercare, né far intuire, una meta, una promessa, e in questo modo, nemmeno può sperare d’imbattersi, lungo il cammino, in eventuali scoprimenti, possibili, necessarie rivelazioni, rinunciando così alla stessa motivazione fondante dell’arte.
In un’intervista del 1969, parlando dei propri disegni degli anni Venti, e riferendosi ad un disegno raffigurante un leone, opera dell’amatissimo Rembrant, Hartung affermava “È veramente il segno stesso che esprime la forza del leone; il segno stesso - in se stesso, e non in ciò che rappresenta o che mostra…” 1 La predilezione per il segno. Una storia che per Hartung inizia lontano; nel 1920 - anno a cui l’artista fa risalire il suo primo disegno astratto - quando aveva eseguito una serie di xilografie ove il tema della cattedrale di Dresda, nei contrasti tra luce e ombra, si esplicava secondo valenze di andamenti segnici di vuoti bianchi, contrapposti a pieni a macchie nere, ove si perdeva totalmente la leggibilità del soggetto a favore di un contemporaneo generale dispiegarsi di ritmo e musicalità . Successivamente, nel l922, del tutto inconsapevole di esperienze affini, aveva eseguito una serie di carte completamente non figurative, dove i colori all’anilina si accostavano cangianti, liberi da ogni soggetto e riferimento. Subito dopo realizzerà opere con l’impiego d’entrambe le mani, ove l’importanza del fare, del creare l’opera attraverso il gesto, e la sua coincidente indipendenza da ogni referenzialità o intento costruttivisticamente orientato, saranno d’importanza esiziale per il loro risultato finale, procedimento che sarà ripreso e avvalorato dal suo modo di dipingere molti anni più tardi. Probabilmente, il suo segno aveva radici ancora più lontane, forse risalivano a quando, a sei anni di età, per affrontare la paura del temporale, iniziò a disegnare, in quaderni di scuola - i “Blitzbucher” 2- il risplendere dei lampi con tratti rapidi e zigzaganti, sicuro che “…Niente poteva accadermi se il mio segno era veloce quanto il lampo…”.3 Ma la svolta decisiva avverrà nel 1926, quando, contrariamente ai consigli degli artisti insegnanti dell’Accademia di Lipsia, che, costatatene le non comuni doti volte all’espressione non figurativa, lo incoraggiavano ad iscriversi alla Bauhaus, contrariamente anche a quel che allora avrebbe potuto assennatamente fare un giovane studente d’arte, che per naturale vocazione già si era incamminato sulla via di un’astrazione libera - allorché l’astrazione sembrava non poter essere che formalismo, unica strutturazione linguistica che sino a quell’epoca la poteva fondare e giustificare - Hartung, inopinatamente, rinuncia a frequentarla. Anzi, lascia la Germania alla volta di Parigi con negli occhi “Purezza, nitore, bellezza” 4 appena scoperti nell’arte di Matisse, Braque, Picasso, visti in una grande esposizione internazionale che si tiene quell’anno a Dresda. Invero il giovane Hans aveva appena assistito anche ad una conferenza di Kandisky che proprio non lo aveva entusiasmato: le nascenti regole dell’astrattismo geometrico, i dettami concretisti ancora impregnati di simbolismo, lo lasciavano indifferente; un’arte costruita e costretta in quadrati, cerchi, ovali e rettangoli non lo attirava.
Questi gli emblematici presupposti per cui dal disegno - dall’opera su carta - origini e si sviluppi tutta l’opera pittorica di Hartung; la costante meditativa propensione alla libera esecuzione d’innumerevoli carte, da cui successivamente trarre ispirazione per i dipinti sarà, sino agli anni Sessanta, l’irrinunciabile, rigoroso metodo di lavoro di Hans Hartung. Ed è proprio a rilevare la grande importanza di questa forma espressiva nel complesso del suo lavoro, che Hartung, sin dagli iniziali momenti del suo successo, volle dare, in sintonia con un modo d’intendere l’opera d’arte indipendentemente dalla qualità del supporto, pari valenze espressive e dignità espositiva alle sue carte, esponendole in varie occasioni in mostre tematiche, a partire da una prima “Dessins 1921 - 1938” tenutasi alla Galerie Craven di Parigi nel 1938, per culminare nella mostra “Hans Hartung works on paper 1922 - 56”, che si tenne alla Tate Gallery di Londra nel 1996, vero e proprio omaggio alla sua vasta ed altissima attività grafica.
Hartung pittore d’azione, in questo modo almeno è stato classificato – e, in effetti, ebbe probabilmente anche il merito, in seguito ad una sua intervista,5 della primigenia coniazione, del termine pittura d’azione - ma nondimeno non lo è unicamente. Quando, nell’immediato dopoguerra - a ridosso della rivelazione dell’orrore dell’olocausto - la necessità di voltare pagina, e di rompere la continuità con l’arte dei precedenti decenni, porta la nuova generazione di artisti astratti non geometrici, ad evolvere verso un’espressione più libera ed immediata capace d’esprimere meglio le tensioni ed il pensiero esistenziale, tale momento assai rapidamente si affermerà, identificato nelle tendenze dette Action painting, Informale, Art tachiste.6 Hartung, che di quel momento, almeno sul versante della pittura di segno, fu certamente l’iniziatore - e che nel decennio precedente al conflitto, a Parigi, era stato misconosciuto, considerato, quasi, ”la pecora nera” 7 dell’astrazione, per via dell’innovativa tecnica a graffi, perché non formalista, e per il suo uso di materiali non tradizionali, nel contempo iniziò anch’egli ad essere compreso e valutato - così Hartung, nel 1945 artista ancora pressoché sconosciuto al grande pubblico, ben presto avrà notorietà a livello internazionale,8 partecipando alla Biennale di Venezia nel 1948, e a conseguire il Premio della Biennale di Venezia nel 1960 - riconosciuto come colui che ne era stato l’effettivo antesignano. Ne sortì una lettura di un Hartung tachiste, preponderantemente riferita alla spontaneità gestuale e informel che si soleva riscontrare nelle sue opere pittoriche: a quel tempo invece le sue opere assolutamente non nascevano senza un accurato ordine, alla cui origine vi era sistematicamente un disegno, che poi veniva attentamente riprodotto sulla tela in ogni suo andamento e casualità.9
In Hartung, forse più d’ogni altro artista è difficile distinguere il grafico dal pittorico, primariamente per il carattere fortemente segnico, che contraddistingue tutta la sua opera. Infatti l’utilizzo del disegno a inchiostro nero, dalle cui essenziali caratteristiche trovare l’energia per ricreare una nuova improvvisazione, è metodologia che differenzia Hartung da altri artisti dell’astrattismo lirico, quali G. Mathieu, F. Kline, P. Soulanges, che hanno prodotto una pittura più propriamente gestuale. Hartung diversamente, traeva le sue opere pittoriche dalle precedenti opere grafiche, con il chiaro intento di trasporne la straordinaria immediatezza ed il senso di spontaneità e di improvvisazione; così molti dipinti su tela che sembrano un’unica improvvisa pennellata, sono bensì un intenso insieme di innumerevoli singoli segni e graffi accumulati e dissimulati o, in altri casi, il medium pittorico è stato diluito ad imitare la dispersione dell’acquerello o la fluidità della china. Quindi Hartung non tanto maestro del gesto, quanto e ben più maestro del segno e del gesto. Dapprima iniziatore dell’arte della macchia, prosecutore e inventore di un espressionismo a cui non occorreva più nessun tipo d’immagine e referenzialità, non necessariamente e pedissequamente rivolto ad alcun tipo di ideologicizzata sofferenza; successivamente maestro dell’astrazione lirica, teso a disvelare appartati anfratti dell’animo e del sapere, inenarrabili e inesplicabili, osservabili unicamente grazie all’esperienza della conoscenza attiva e gestuale dell’opera, realizzatore di accadimenti segnico percettivi che - psichici, fenomenici o numinosi - alle nostre coscienze appaiono in tutta la loro realtà, tuttavia integri nel loro mistero.
Nelle superbe carte esposte in questa mostra - un corpus omogeneo risalente agli anni 1955/58, di eccezionale qualità tale da ascriverlo al novero dei capolavori di ordine storico - presso la Folini Arte Contemporanea in collaborazione con la Fondation Hans Hartung et Anna - Eva Bergman di Antibes, la connotazione operativa saliente di Hartung è sempre evidentissima. Ove le linee, i segni, via via, accumulandosi costruiscono una serie di correlazioni risultanti da una continua processualità, da un costante soppesare e reagire della mente e dell’emozione, che sviluppa così un complesso di connessioni, dipendenze e corrispondenze, di forze, dove, dandosi in un insieme unitario, è impossibile distinguere quanto è reso dall’istintività e quanto è dovuto al raziocinio. Esse, nella loro atmosferica profondità, nell’instancabile indagare del gesto nelle sue differenti determinazioni segniche, instaurano e rispondono a forme di consapevolezza intuitiva, sorta di conoscenza organica, immediata affermazione dell’Essere, della personalità, che, nella comprensione delle forze della natura e delle leggi che governano i suoi accadimenti, che lo circondano e lo permeano, ne fa esperienza e se ne appropria, restituendoli, trasmutati dalla percezione e dall’espressione, in un’unica, istantanea ed eclatante forma pittorica. Ognuna di queste carte, in questo senso è una ipotesi rinnovata, una espugnata supposizione, una sperimentazione che mostra in forma sempre dissimile e di per sé compiuta l’inusitato incanto del suo realizzarsi; verifica della possibilità di elevarsi al di fuori della realtà, un agire senza dogmatiche interposizioni, un fare in modo che lo spazio non ci assoggetti, che il tempo non ci attanagli: una storia restituita in un istante. Tutte le infinite declinazioni del segno nella manifestazione del gesto, riflessione e volontà della mente, sono esattamente conoscenza che si forma nell’azione; riportano a una tensione a ristabilire un equilibrio tra naturalità e cultura, tra il tempo che trascorre e ciò che rimane, suggerendoli e individuandoli nel contrasto tra luce e ombra ove le pennellate nere agiscono lo spazio stagliandosi oscure, aggallando e indagando quanto nella mente incessantemente nasce e si trasforma; esprimendosi realizzando argomentazioni affrancate dall’ingannevole ausilio delle parole, confidando che il mutevole e sempre nuovo rapporto con le cose, con il mondo - un’emozione, uno stato d’animo, un concetto - sia il mondo stesso ma che, prima di divenire arte, deve passare attraverso quel arduo e complesso processo di trasmutazione culturale, a cui pochissimi è dato di saper operare, e che - evento meraviglioso - può farli divenire, nella loro espressione visiva, sapere, cultura, poesia.
Negli anni Cinquanta, periodo in cui nascevano queste carte, la cultura e l’arte in Occidente, hanno guardato intensamente a quella dell’Oriente, soprattutto per certe sue valenze filosofiche, per il suo diverso modo di concepire l’Essere e il suo divenire, il suo panteismo estetico. “Ogni saggezza viene dall’Oriente”, sentenziava nei suoi Aforismi, Costantin Brancusi; Ezra Pound incastonava nei suoi Pisan Cantos ideogrammi cinesi, John Cage componeva ascoltando l’ I Ching, Mark Tobey percorreva lo Zen, René Daumal scalava l’induismo. Ma Hans Hartung, rimase maestro del segno e, a proposito della calligrafia orientale, non si spinse mai oltre generici apprezzamenti, piuttosto facendo esplicitamente risalire l’origine della sua arte, e di tutta quella astratta, al rispetto e alla passione per l’individualità e per la libertà, e la conseguente libertà espressiva, fondamento e peculiarità della cultura moderna dell’Occidente.10
Di fronte alle vertiginose opere pittoriche degli anni Ottanta, dove il segno smettendo ogni intonazione aulica, travalicando le tradizionali incombenze dei mezzi pittorici, si pone, è, al di là, oltre la pittura stessa, e prima ancora di possibili interpretazioni - che si evidenziano non indispensabili e destinate semmai all’avvenire - ci accorgiamo di vivere un brano dell’attualità ancora spiazzato dal percorso della storia; pur nel presente esse già ci appaiono senza tempo e assolute. Opere grandissime, ove, nell’evocativo e trepidante campo cromatico dell’opera, fustiganti fiotti di colore, in macchie e gocce, senza vincolo alcuno, con la massima energia scoppiano in tracciati, salgono, volteggiano, improvvisamente mutano direzione, invadono e scompaiono, con una vitalità e con un’autonomia espressiva immense: qui la sensibilità emozionale e lirica, l’improvvisazione e la meditazione di Hartung vengono a fondersi in un’immagine che comprende le inquietudini più profonde, le tensioni alle più alte aspirazioni come le più semplici pulsioni umane, e che, per la loro potenza, per l’incanto della loro bellezza travalicano ogni distinzione e ogni categoria, per assurgere a valori che non attengono più unicamente all’individuo e alle sue realtà, ma che le collocano nella sfera dei valori definitivi e universali.
Luino, Giugno 2006
- Intervista con Tadao Takemoto, 1969, in Dialogue in Art: Japan and the West, Chisaburogh Ed., Londra 1976.
- Hans Hartung, Autoritratto: narrazione raccolta da Monique Levebvre, introduzione di F. D’Amico, GAM, Torino, s. d., pg. 58.
- ibid., pg. 2.
- ibid.,
- ibid., pg. 152.
- Testimonianze “sul campo” del rilievo dell’opera di Hartung in Piero Dorazio, Rigando dritto Scritti 1945-2004, a cura di M. Mattioli, Silvia Editrice, Milano, 2005, pgg. 488.
- op. cit., pg. 111.
- Per alcuni preziosi riferimenti all’influenza dell’opera di Hartung in rapporto alla storia dell’arte astratta in Italia vedi anche, Nathalie Vernizzi, Razionalismo lirico, All’Insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano, 1994, pg. 290 e seg.
- A. Herbin apprezzò immediatamente il metodo di Hartung e lo sostenne nel continuare la strada intrapresa, in Autoritratto
- op. cit., pg. 180.