Marginalia H.H.
Stille e postille su alcuni inchiostri cinquantenni e qualche giovane acrilico di Hans Hartung (1904-1989).
H.H. : homo homini pictor… ( tra i lupi ).
Duri e taglienti segni della psiche ( ‘psicogrammi’ ) rapidamente dipinti con il soft-touch, il tocco morbido, di morbide setole orientali.
Tracciati e macchie colanti della medesima psiche che, riposto il pennello, distanziatasi fisicamente dalla superficie, la bersaglia e la colpisce senza sfiorarla né ferirla in un no-touch balistico di spruzzi e getti discontinui e oligocromi.
Rispetto alla superficie ci sono pittori che vi si immergono e pittori che ne emergono dopo esservisi immersi o tuffati; Mark Rothko, un tuffatore, è tra questi ultimi, H.H. tra quelli immersivi : quelli che lasciano che siano gli altri a emergere dagli abissi delle loro superfici dipinte, delle loro apparenti e afotiche “flatlandie”o flatness, portando alla luce qualche dono dell’oscurità.
Una mano stretta intorno ad un fascio di acuminati bastoncini di legno colorato : improvvisamente si apre lasciandoli cadere in un ordine sparso sopra ad una tavola ; altre mani lentamente li raccolgono con estrema delicatezza. E’ questo il Mikado, antico gioco dell’estremo oriente. A qualcosa di simile gioca H.H. con chi si accosta ai suoi lavori della seconda metà dei ’50.
Nel fluire discontinuo del Vivere, la continuità dell’ Essere colta nel suo ritmo, che nel ritmo è rilevabile; la ritmica di H.H. è quella del ramo che cresce verso la luce e che è un ramo e non i suoi anni…
Mirò potò i rami della selva simbolica di Baudelaire per dare luce al sottobosco del segno, Pollock seminò aiuole tracciate in una danza che H.H. innaffiò per farle fiorire, secondo la regola aurea del buon giardinaggio che prevede di bagnare goccia a goccia o, diversamente, quando il sole a levante o a ponente è basso sull’orizzonte e non al suo bruciante zenit.
Nero di fertili incendi che hanno fuso quel bronzo creduto perenne. Colori come licheni aggrappati ad una roccia. Viene dalle rocce il bronzo : i licheni resistono alle fiamme.
Pensiero : fuoco che da’ un senso allo spazio, “punto di Lagrange” per viaggiare nello spazio modellato dalla gravità; materia che è spazio lento : pensiero che rallenta in un gesto che lascia materia di spazio nello spazio…
Baricentro tra il ‘tocco’ degli inchiostri e il ‘getto’ degli acrilici, la ‘macchia’ di una serie di vinilici del 1966 dedicata a Rothko da H.H. ed intitolata Nuages.
Lucio Fontana taglia la superficie pittorica non per negarla o per estenderla ma per farne scultura : l’oscurità barocca di questi suoi tagli rimanda alla superficie nei quali essi sono stati praticati; l’ oscurità dei segni tracciati da H.H., invece, allude alla profondità della superficie.
Scultorei tagli superficiali, pittoriche tracce profonde : presenze d’uno spazio interiore non più occupato da quello esterno ma che lo occupa, scoprendone la comune origine.
Se col ‘cubismo’ e nel ‘900 in generale la superficie dipinta cessa di essere una “finestra” illusoria aperta sul reale, con pittori come H.H. tutto ciò che è stato gettato fuori da questa finestra rientra dalla porta principale : quella che sta tra la cornea e il cervello…
Se Picasso è pugno che scaglia sasso, gesto liquido di una mano aperta è quello non gesticolante di H.H. : direzione d’orchestra. Affondano nell’acqua i sassi, la pioggia invece all’acqua si unisce.
Fonte zampillante, zampilli all’ostinata ricerca della vita di un “innaffiattore innaffiato” che, nato nove anni dopo dopo L’ arrouser arrosé della gag a camera fissa e numerosi ‘fuori campo’ immersa nella luce in bianco e nero di una vue comique girata da Louis Lumière, ha innaffiato buona parte di un secolo più nero che bianco, più tragico che comico…
Le mur ( Demolition d’un mur ) era un altro dei cortometraggi dei fratelli Lumière proiettati in quel 28 dicembre del 1895 in un sotterraneo parigino del Grand Café in Boulevard des Capucines : tra questo muro e quello di Berlino che cadrà, demolito dalla Storia, nel 1989, sta tutta la storia di H.H.( che muore il 7 dicembre di
quel medesimo ’89 ) ; una storia che è quella di un hortus non più conclusus, non più cinto da mura con in cima cocci aguzzi di bottiglia, e dal quale un fiore può fuggire per diventare nube e molto altro ancora : perché “ quello che proviamo è molto più forte di quello che vediamo “.
In un universo-multiverso costituito solo per il 5% di materia barionica, visibile, e per il resto da materia ed energia antigravitazionale ed “oscura”, è più importante ciò che si prova o che si vede ?
Che cosa combina appeso ad un muro un dipinto di H.H. ? Che cosa rende conoscibile ed esplorabile dello spazio costruito nello spazio, sia esso galleria, dimora o museo, in cui viene collocato ? Se non è una “finestra”, cos’è un dipinto di H.H. appeso a una parete ? La vibrazione non visibile di questa, la sua energia, tesa tra un sopra ed un sotto, la potenza nascosta ma presente in ogni edificio, in ogni confine - nel compartimentarsi dell’ essere vita - che ci permette un orientamento nella selva del non intuibile ? Sì : un dipinto della qualità di quelli di H.H. è un concreto e diretto contributo al senso dell’abitare, dell’orientarsi nel continuum dell’ Essere; un ‘punto di riferimento’ nell’ “Aperto” rilkiano…
Cadono i muri, le barriere, non i confini : come la ‘camera fissa’ di L.L. lo sguardo di H.H. circoscrive uno spazio delimitato ma aperto nel quale possono entrare e uscire le cose e le energie che le muovono : siamo esse ‘fuori campo’, siamo in ‘campo aperto’ ( all over ).
Profondità cromatica come à-plat interferenziale di un colore dai segni segnato, grattato finanche, o che segna lo spazio : color field ; confine interno alla materia; le forme di cui non percepiamo i confini ci sembrano sconfinate e prive di forma, di un confine, come l’ Essere che sovente ci sembra non-essere, Nulla ( con buona pace di Michel Tapié e dell’ “informale”… ). La parte è il tutto e tutto è Essere che per essere è confine; il ‘nulla’ come l’ ‘informe’ è pur sempre qualcosa, un nonnulla, una forma… La philosophia di H.H. non è nei suoi giovanili studi di filosofia a Lipsia ma sempre e ovunque ( perennis ) nella sua pittura.
La velocità esecutiva di H.H. : mimetica, sì, ma d’ una velocità tutta interna alla materia e all’ occhio, di moti browniani e saccadici rispettivamente, inavvertibile e sfuggente per i sensi ; niente a che vedere con quella esteriore e intuitiva inseguita ed enfatizzata da alcuni ‘Futuristi’.
“Veemente” ?… ( con un altro superficiale aggettivo tapiésiano del ’51 ) ; la ‘delirante agitazione’ attiene più al gesticolare violento e fuori controllo di una mente sconvolta che non al gesto liberato da una mente meditativa come quella di H.H.; prima limitata al polso e poi estesa al braccio e all’articolazione toraco-scapolo-omerale, la gestualità non gesticolante di H.H. ha rimodellato i propri confini nella ricerca di rendere intuibile pittoricamente una altrimenti “controintuitiva” condizione dell’ Essere. In particolare l’ultimo H.H. dirige lo spazio, lasciandocene una pittorica proiezione, come un direttore d’orchestra una sinfonia; dopo questa “spallata” alle etichette critiche della prima ora, spetterà a chi guarda indovinare il genere di musica diretta da questo maestro del gesto ad un tempo energico e silente.
In H.H. il bilanciamento dinamico “figura-sfondo” nell’ottica di un realismo “non proiettivo”, secondo la definizione di Rudolph Arnheim, ma “concreto”, “non mimetico”, è il medesimo di quello praticato da Mirò, con la differenza che in H.H. ci sarà sempre un gusto calligrafico per i valori di superficie ed una resistenza istintiva ad affondare verso il mondo della vita, che lo porterà a congelare le sue sventagliate, le sue ali aguzze e saettanti; questa, parafrasata ma fedele nel senso, la valutazione di una certa critica : con quel perentorio “sempre” che vorrebbe congelare una pittura tutt’altro che congelata nel suo vitale procedere; se non gli acrilici ultimi, di molto successivi ad un simile giudizio espresso, anche da Renato Barilli in Italia, nel corso degli anni ’80 del secolo scorso, la serie dei vinilici dedicata a Mark Rothko nel 1966 ed intitolata Nuages, di molto antecedente, non lascia scampo a quegli sguardi che come questo non hanno saputo riconoscervi altro che un “calligrafismo incallito” o una vitalità limitabile ad un gesto scoccato dentro a fondali di “non-finito”… Come Nuages nei Nocturnes del ‘trittico sinfonico’ di Debussy, pentatonico disegno galleggiante tra le onde De l’aube à midi sur la mer, la notturna luminosità della “macchia” di H.H. imprime una dilatazione alla pupilla che va ben oltre i suoi fisiologici limiti.
H.H. un “musicalista” ? Più che un tendere alla musica come Kandinskij, H.H. come Ciurlionis vi proviene; e la pittura di H.H. discende direttamente da quella particolare regione musicale che ha la sua primaria genesi nel pathos e che solo in seguito si trasforma in qualcosa di cantabile, in una melodia; lo “psicogramma” ritmico di H.H. è proiezione di una musicalità interiore “patogenica” - come la definì nel 1943 Curt Sachs in “The Rise Music of in the Ancien World-East and West “ - che a differenza di quella “logogenica”, veicolo del logos, della parola, e della “melogenica”, intermedia tra le due, caratterizza e distingue il “cantante primitivo”, impulsivo, da quello cantilenante e melodico.
Quattordicimila anni fa un anonimo pittore mimava in un suo ‘pittogramma’ rupestre un danzatore rapito nella trance d’ una vertiginosa giravolta estatica. H.H., quattordicimila anni dopo, è quel danzatore che dipinge : i suoi ‘psicogrammi’ o squiggle, come li chiamerebbe D.M.Winnicott, assomigliano molto ai suoni inarticolati che Valeska Gert (1892-1978) emetteva danzando; d'altronde già Francois Delsarte (1811-1871), precursore della danza contemporanea, notava che ad un’emozione o ad un’immagine mentale corrisponde un movimento e che l’intensità del sentimento guida l’intensità del gesto in un “sentire per rappresentare”.
H.H. un romantico ? Non certo nel senso di quel “romanticismo” che confuse la vita con l’arte, il Vivere con L’Essere, la relazione con l’instaurazione, il comunicare con il consistere.
Razionalismo razionalmente de-razionalizzato quello di H.H.: liberato, con emotiva intelligenza,
dall’ apparenza euclidea del ‘pi greco’ e dell’ angolo retto, dalle apparenze retiniche, dall’apparente intuitivamente e intuibilmente tale; oltre che da un ubì consìstam , da un consistere, esistenzialisticamente scambiato per incomunicabilità, alle soglie di quel “folklore planetario” popolareggiante e globalizzante intuito, oltre che dal “situazionista-anartista” Guy Debord sul versante della comunicazione di massa, anche dall’artista Victor Vasarely su quello del consistere individuale.
L’ “Astrazione lirico-concreta” nel quale la critica ha incasellato H.H. ( che trasformerebbe in astratti i luoghi reali e in concreto il linguaggio astratto… ) : un gesto che non si abbandona a una tensione emotiva di grafici eccessi o a un turgore cromatico tale da annichilire l’energia propulsiva e nascosta di un ritmo breve ma aperto, mai ritorto in sincope.
Se paradosis è citazione ed epidosis progressiva acquisizione, recantatio, hegeliano Aufhebung, ripensamento di un formale ed emozionale “engramma” warburghianamente inteso, allora H.H. non cita in ‘copia’ un ‘originale’ ma ripensa in ‘esemplare’ un ‘archetipo’ che è quello dei “grandi segni” preistorici,
post-paleolitici : Les grandes signes, come Henri Breuil li definiva; non delle intellettualizzazioni ma delle rimuginazioni dei “ventagli” e dei “vortici” di cui sono capaci anche i primati non umani e che l’Uomo, “primate ontologico”, nel XX sec. ha sottratto ad una rimozione durata migliaia di anni.
H.H. ricapitolerebbe nella propria vicenda artistica quella linea dell’ “astrazione” empatica, effusiva, epifanica, interiorizzante e d’intima venatura espressionista e simbolista, che si rende autonoma e consapevole nel primo decennio del ‘900 con Ciurlionis , Vrubel ed Holzel in particolare, e che successivamente troverà in Kandinskij uno dei propri vertici.
Ma H.H., ed è ciò che più conta, oltre che ad essere un “astrattista” è soprattutto un pittore con tre “A” : Ahnung-Aufklarung-Aufhebung, attenzione-chiarezza-ripensamento. E’ questa la “tripla A” che fa di ogni ‘capacità trasformatrice’, di ogni forma di ‘creatività’, in ogni ambito, una capacità autentica e di qualità; senza ‘attenzione’ e ‘chiarezza’ non si fa ‘ripensamento’, trasformazione, ma solo epigona e inane manipolazione, citazionismo, scopiazzatura-spazzatura.
H.H. guardando in un cannocchiale da bambino : tenebra non è altro che luce intorno alle stelle.
H.H. che impara da Monet & C. che ci sono tutti i colori dell’iride dentro alle ombre e anche nel nero di Goya.
Questi getti di colore potrebbero essere d’acqua o di sangue : hanno il ritmo del cuore quelli provenienti da un’arteria femorale recisa…
In fondo al giardino, nel lago con le ninfee : scure fascine di rami gettati nell’acqua per cullare uova di pesce.
Ad un passo dal mare, ad Antibes : una folgore pittorica tra due ettari di olivi…
( Que le geste parait beau quand l’adresse est foudroyante ).
Le ceneri di H.H. mescolate all’ azzurro intenso, argentato e cangiante del Mediterraneo : il bambino che riempiva di lampi le pagine dei suoi quadernetti - i Blitzbucher come li chiamava suo padre, e che da grande avrebbe amato il legno degli alberi usato dagli “espressionisti” per farne xilografie - incenerito da vecchio, con una gamba di legno, da uno di essi.
( Dèsire tendu l’éclaire suivant, ce corps retourne à ses bourgeons ).
Solitario, persino isolato H.H. ( sur-indépendant ) : aveva una sola gamba l’ argenteo e lungo “cuoco”
dell’ “Isola del Tesoro” di Robert Louis Stevenson; chi ha una sola gamba lascia delle tracce particolari.
Castelseprio, 30 giugno 2006.
Maurizio Medaglia
P.S. Quando in giro gira sempre più l’opinione che tutto ciò che è originale è ciò che a prima vista fa ribrezzo perché di schifezze disgustose sono piene “le collezioni, i musei e le gallerie che contano”, allora è giunto il momento di frequentare i posti e le persone che “non contano” per chi conta ma autentiche: per avere qualche opportunità d’ imbattersi in cose autenticamente originali e non in operazioni banalmente epigone.
Anche in considerazione di ciò ho accettato di scrivere queste 37 ‘frasi ecfrastiche’ su Hans Hartung ( più o meno corrispondenti al numero delle opere in esposizione ) per Renato Folini e per la sua Galleria. Se, come sta accadendo, il gusto si fonda sempre più sulle sue oscillazioni emotive , come già ipotizzava Gillo Dorfles, anziché sulla considerazione qualitativa dell’opera altrui, allora il gusto va ridiscusso, va messo in discussione, senza rifugiarsi nel facile e conveniente ( per qualcuno… ) luogo comune del de gustibus disputandum non est. La qualità dei lavori di H.H. , che è tale non perché indiscutibile ma perché fa ancora discutere, costituisce quindi un’ occasione per trattare non più di “movimenti” e di “mode” ma di “qualità”.
Non è più tempo per l’erudita e sintetica disquisizione su “Astrazione e Empatia” condotta da Wilhelm Worringer nel 1908, né tanto meno per quella sulle abitudini e il costume di un epoca, risalente al 1975 ed altrettanto folgorante, portata da Tom Wolfe in “ The painted word - Il successo in arte “.