Un visionario di cose vere

Italo Valenti e i suoi rapporti con scrittori e poeti

Roberto Borghi

Il primo saggio sulla pittura di Italo Valenti è opera di un protagonista misconosciuto della cultura italiana di metà Novecento. Poeta, narratore e soprattutto drammaturgo contraddistinto da una vena eccentricamente surreale, Beniamino Joppolo nel 1940 dà alle stampe per le edizioni di Corrente L'ultima stazione: la messa in scena di questo testo, con la regia di un ventenne Paolo Grassi e con gli esordienti Giorgio Strehler e Franco Parenti tra gli interpreti, marca una cesura decisiva nella storia del teatro italiano. A Joppolo si deve anche la stesura nel 1947 del Primo manifesto dello spazialismo insieme con Lucio Fontana, Milena Milani e Giorgio Kaisserlian. La notorietà internazionale giungerà nel 1963, l’anno in cui Jean-Luc Godard trarrà da un suo testo teatrale la sceneggiatura di Les carabiniers, uno dei film più controversi del regista francese. Nello scritto su Valenti pubblicato dal numero della rivista “Corrente” dell’aprile 1940 Joppolo mette in risalto «l’atmosfera trasognata» che caratterizza le opere dell’amico pittore, ma anche il clima di «angoscia incessante» che pervade il suo universo fantastico.

Procedendo in ordine cronologico il secondo autore di un saggio approfondito sulle opere di Valenti è Guido Piovene: è a sua firma il testo introduttivo alla prima monografia sull’artista pubblicata nel 1943, ma anche quello presente nel catalogo della prima personale, allestita alla Galleria Genova nel 1941. All’inizio degli anni Quaranta Piovene è un giornalista del “Corriere della Sera” e uno scrittore già famoso grazie a Lettere di una novizia, il temerario romanzo del 1941 che, in uno stile virtuosisticamente ambiguo, mescola sensualità e spiritualità, attrazione per l’abisso e ansia di assoluto. La sua città di origine, Vicenza, è la stessa in cui Valenti trascorre alcuni anni tra l’infanzia e la giovinezza.

Ai soggiorni vicentini si deve l’amicizia tra l’artista e Neri Pozza testimoniata tra l’altro da un fitta corrispondenza e da un testo del 1944 in cui il futuro editore - ma inizialmente soprattutto scultore - definisce Valenti «il più letterato» tra i «giovani di punta del gruppo di Corrente». Pozza, insieme con Antonio Barolini, è il promotore di un sodalizio di giovani pittori - tra i quali Valenti -, scultori e scrittori che innova la scena culturale della città veneta negli anni che precedono, e in quelli che immediatamente seguono, la Seconda Guerra Mondiale. Gli amici della gaia gioventù. Arte e poesia a Vicenza dal 1930 al 1950, la mostra inaugurata nel novembre 2022 nelle sale ipogee del Museo civico di Palazzo Chiericati, documenta questo momento in cui si è udita «la voce senza dolore» di Barolini, un poeta che ha «creduto nel sogno della gaia gioventù», come recitano due versi di una sua lirica.

Nel medesimo arco di tempo Piovene dedica pochi e intensi scritti agli artisti di cui ha stima: è grazie a lui se i renitenti ai precetti classicisti di Novecento passano alla storia come Chiaristi; a lui dobbiamo tra l’altro un’acuta introduzione alla ricerca pittorica di Arturo Martini. Nel testo del 1941 l’accento cade sul senso di inquietudine che promana dalle tele di Valenti, sul tratto tormentato che cesella figure indefinite.

Joppolo e Piovene possono sembrare degli autori agli antipodi, e per certi versi lo sono. Antifascista anomalo l’uno, fascista in malafede, per sua stessa definizione, l’altro; il primo sempre ai margini, il secondo sempre sotto i riflettori nonostante i suoi molti e vantaggiosi cambi di scena; di nicchia, ma a suo modo determinante, Joppolo, popolare, ma sostanzialmente ininfluente, Piovene. Ad accomunarli tuttavia è una visionarietà sfaccettata, contraddittoria, di cui entrambi percepiscono dei riverberi nei dipinti di Valenti.

«Visionario di cose vere», la definizione che Luciano Simonelli ha coniato per il Piovene saggista, si adatta anche al pittore di scene pervase da «un’atmosfera onirica, ma riportata in terra dall’ironia, dalla condiscendenza consapevole», come ha notato Carlo Carena. Condiscendenza: una bellissima parola che, nella sua accezione letterale, rimanda al gesto di scendere insieme, abbassarsi, porsi al livello delle persone alle quali ci si rivolge. Nel caso di Valenti, il termine implica anche la scelta di non rifugiarsi nella dimensione del fantastico, di non eludere il clima di ansia e costrizione che si vive nell’Italia degli ultimi anni Trenta e dei primi Quaranta, di testimoniare anzi questi stati d’animo in dipinti nei quali i colori «turbinano intorno al girotondo del mondo» (ancora Carena); allo stesso tempo, di non limitarsi alla mera testimonianza, ma di esprimere il proprio desiderio di un altrove ed esercitare in tal modo l’immaginazione. Piovene stesso, in apertura del testo introduttivo alla monografia del 1943, ammette: «tra le molte ragioni per cui la pittura di Italo Valenti mi è piaciuta fin dall’inizio [...], una è personale. Nel suo ingegno riconoscevo alcune caratteristiche che mi erano famigliari. [...] Anche in lui c’era il gusto dei pericolosi equilibri, di sporgersi il più possibile verso un’esperienza esterna, ma di ritrarsi prima di cadervi del tutto».

Pensando a Joppolo ci si potrebbe chiedere quanto i personaggi che transitano dalla sua Ultima stazione abbiano viaggiato sui treni che cominciano a comparire dal 1941 nei quadri di Valenti. Fino all’incirca al trasferimento in Cantone Ticino, l’artista ha uno studio affacciato sui binari della Stazione Centrale di Milano nel quale si reca più volte Eugenio Montale, che in quegli anni sta cercando di coniare un proprio linguaggio pittorico coniugando la lezione di De Pisis con quella di Morandi. Da questo studio passerà più volte anche Enrico Emanuelli, lo scrittore - oggi purtroppo un po’ dimenticato - e caporedattore delle pagine culturali del “Corriere della sera” che nel 1955 firma il testo in catalogo della mostra personale di Valenti alla Galleria del Milione. L’amicizia con Montale invece avrà un riscontro editoriale soltanto nel 1980, quando il pittore contribuirà con due acquetinte a una ristampa in tiratura limitata dei Mottetti curata da Dante Isella. Due anni prima Valenti aveva realizzato sette collages per I Re Magi a Astano, un racconto di Piero Chiara pubblicato in trecento esemplari numerati da Natale Mazzucconi. Due conferme di quella «cultura letteraria» che, secondo Carena, a Valenti «fu persino rimproverata»: l’artista comunque «non se ne staccò mai, mai rinnegò i legami con poeti e romanzieri, le sue letture, il fondo letterario della sua pittura».