Achille Perilli fa parte di quel novero di artisti che dal dopoguerra ha saputo innovare la pittura astratta, proseguendo così in quella tradizione del nuovo che ha permesso all’arte europea di potersi raffrontare alla pari con le nuove esperienze che giungevano dall’America. Ripercorrere l’itinerario artistico di Achille Perilli (Roma 1927) significherebbe incontrare tutte quelle personalità che, nell’arte, nella letteratura, nella poesia, nella musica, nella filosofia hanno contribuito a mutare l’evoluzione della cultura dopo il 1945. In un percorso, nel campo della pittura, assolutamente prammatico, l’opera di Perilli, attraversa i livelli più alti dell'intero arco dell'arte non figurativa della seconda metà del XX secolo e che, nella chiarezza di esiti, lo colloca in quella ristrettissima pattuglia di artisti astratti che hanno goduto di un costante riconoscimento internazionale. Così la ricerca del maestro si è dispiegata in una vivificante condizione di continuo meditato rinnovamento, maturato nel connubio con le più avanzate e significative esperienze della cultura contemporanea nel campo del teatro, della poesia, della musica e della filosofia; di cui ha condiviso la sperimentazione e l’ansia di cambiamento, coltivando l’avversione per ogni forma d’ideologismo, accademico e burocratico, tralasciando facili eccessi, mantenendo la propria opera nella più indipendente ed alta ricerca formale e significativa, contemplando una continua, singolare, riflessione sulle categorie di forma - colore - spazio, articolata in un divenire storicamente individuato nella necessità di considerare un recupero dell’irrazionale come categoria essenziale di ogni metodologia. Le opere di questa mostra - la prima antologica in Canton Ticino di Achille Perilli - ora presentate presso la galleria Folini Arte Contemporanea di Chiasso, sono una vagliata selezione rappresentativa dell’intero iter creativo dell’artista, a partire dai primi pionieristici esperimenti nelle polemiche antinaturalistiche dell’immediato dopoguerra - con la pubblicazione della rivista Forma 1 e la fondante esperienza della galleria L’Age d’Or - all'informale della “nuova figurazione”, con opere che hanno partecipato alla Biennale di Venezia, al nascere delle liriche, liberissime forme geometriche che hanno consolidato la sua straordinaria cifra espressiva, qui presentata con alcuni rari pezzi della sua aurorale fase formativa. Della prima maturità di Perilli è esposta una significativa rassegna del periodo dell’inizio degli anni sessanta, opere dove il linguaggio dell’automatismo informale è affrontato con declinazione, nel panorama artistico europeo, di ben rara qualità e pregnanza significativa. Vi sono protagonisti una linea scabra, rapidi segni nervosi, che in modo come istintivo percorrono lo spazio, che divagano, accennando a figure, a corpi emozionalmente rivissuti, a contesti ambientali, particolari oggettuali, situazioni relazionali, narrando per intuizioni sensibili; una calligrafica affabulazione che aggalla, in un luminoso spazio psichico, direttamente dall’inconscio, rifuggendo troppo intense, dolorose emozioni, lasciando come una traccia di avvenimenti immaginati, di intendimenti, fluidamente intessuti al loro ricordo, alla loro interpretazione secondo una sensibilità lirica, riscattando così l’irrazionale come forma di conoscenza della realtà. I segni, le figure, così sfuggevolmente presentati e percepiti, agiscono per impennate, rallentamenti e digressioni temporali in uno spazio continuo e aperto, aggrappato alla realtà solo da una matericità finissima, inscindibile dalla scrittura che, nella sua urgenza, la percorre e che consente così la sua stessa esistenza. Eco della costante attenzione di Perilli al divenire della realtà, nelle opere appariranno le tipiche partizioni a registri dei comics, in esse vengono finemente, come argutamente, narrati avvenimenti multipli - intervallati e scanditi da aritmiche, icastiche forme geometriche, spazialmente dislocate in un ordine del tutto mentale - e che, per oniriche accentuazioni, acquistano spesso il sapore di parabola esistenziale, di allegoria mitica, di complesso paradosso logico, connotati e sostenuti da costanti declinazioni di sottile meditazione metalinguistica. L’interesse di Perilli per un’ininterrotta riformulazione di una visione del mondo, si presenterà in vari scritti teorici, ed in diverse esperienze ormai patrimonio storico dell’arte astratta in Italia, che culmineranno nella pubblicazione nel 1982 della “Teoria dell’irrazionale geometrico”, indispensabile quadro teorico di riferimento per il suo lavoro che, via via, avrà acquisito una sempre più marcata connotazione di un’inedita specificità visiva geometrica dove, nel modo speculativamente più elevato, prenderà forma una più ampia, essenziale riflessione sulla caduta delle certezze nell’epoca del “dissolversi della utopia tecnologica”. Gli accenni alla geometria che apparivano precedentemente, divengono i protagonisti assoluti del campo visivo dell’opera che, pur determinato da una monocromia priva di gradazione alcuna, è capace di evocare spazi illimitati e situazioni di passaggio in costante divenire. Le tese forme geometriche paiono avere una lontana origine assonometrica, si susseguono in molteplici mutazioni, estendendosi in ipotetici, plurimi, imprevedibili spazi; hanno già attraversato e ci fanno intuire inaspettate feconde esplorazioni di eventi possibili. Le inattese seppur calibratissime proliferazioni d’accadimenti geometrici, si allontanano in spazialità immaginarie in un susseguirsi di varianti, scatti, spesso in sciolte, fluttuanti progressioni, o in improvvisi dietrofront, rimandi, slittamenti e anticipazioni; in uno spazio che, da Malevic in poi, è la formulazione più articolata della negazione della concezione dello spazio euclideo, al contempo, costantemente, come contraddetta da intromissioni di puntualizzazioni bidimensionali, evidenti richiami allo spazio, alla superficie, ove effettivamente agiscono. Si manifestano, vivono in improvvisi, quasi tangibili, avvampamenti del colore, di luminosi contrasti timbrici di sorprendente brillantezza, che, come in Albers o in Kupka, superano le adusate teorie del colore, in un alternativo gioco con modulate, magistralmente soppesate e profonde, armonie tonali in grado di sommuovere, in inesauribili meditazioni, le sensibilità più intense dell’animo. Sovrastando virtuosismi tecnici, le forme s’impongono o si defilano, in sospesi sviluppi ove la materia è ora limitata al minimo indispensabile, potenzialmente assente. Le forme, il colore, in uno spazio indagato pluridimensionalmente, in una vacanza di commistioni con un reale contingente, in un’illimitata mappatura delle possibilità, ci rimandano alla constatazione di una necessità, alla considerazione metodologica, persino di un’impervia volontà di una concretezza pittorica che presuppone assoluta chiarezza d’intenti nell’ipotizzare comportamenti aperti, necessariamente contraddittori ed irrazionali, nella consapevolezza dell’utilità dell’errore nella pratica di ricerca sperimentale: in una dialettica tra razionale – irrazionale che nobilita il fantasticare, che restituisce all’intuizione la sua primigenia forza vivificante e che, al di sopra d’ogni inquietudine, fa risiedere la manifestazione della libertà in un’infinita, ancora possibile, bellezza. Provvida mostra questa raffinata, notevolissima antologica di opere storiche di Achille Perilli, che ci consente di ripercorrere la genesi e gli esiti di uno dei più straordinari percorsi dell’arte moderna e dell’astrattismo contemporaneo.
Domenico D’Oora